Corte Cost. 22 maggio 2025, n. 68

Massima Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale.

Nota La Corte – dopo aver precisato che la questione non attiene alle condizioni che legittimano l’accesso alla PMA in Italia – ha ritenuto che l’attuale impedimento al nato in Italia di ottenere fin dalla nascita lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che ha prestato il consenso alla pratica fecondativa all’estero insieme alla madre biologica non garantisca il miglior interesse del minore e costituisca violazione: dell’articolo 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’articolo 3 della Costituzione, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse di rango costituzionale; dell’articolo 30 della Costituzione, perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli. La dichiarazione di illegittimità costituzionale si fonda su due rilievi: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla PMA per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi; la centralità dell’interesse del minore a che l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, anche nei confronti della madre intenzionale. Dalla considerazione di questi fondamenti discende che il mancato riconoscimento fin dalla nascita dello stato di figlio di entrambi i genitori lede il diritto all’identità personale del minore e pregiudica sia l’effettività del suo «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni» sia il suo «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».   Sentenza …omissis… Le questioni in oggetto si collocano, pertanto, su un piano differente da quello dell’aspirazione alla genitorialità da parte delle coppie omosessuali, rispetto alla quale questa Corte ha ritenuto «non eccedente il margine di discrezionalità» la scelta del legislatore di precludere loro l’accesso alle tecniche procreative (sentenza n. 221 del 2019). Del pari estranei al presente giudizio sono i profili legati alla filiazione da modalità della gestazione per altri (cosiddetta maternità surrogata) che costituisce una tematica affatto diversa. Le odierne questioni non concernono, pertanto, la qualificazione giuridica dell’aspirazione alla genitorialità ma l’interesse del figlio nato in Italia da PMA praticata all’estero a che sia affermata, in capo a entrambe le donne che abbiano fatto ricorso a questa tecnica, la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali agli interessi del minore che l’ordinamento considera inscindibilmente legati alla scelta di divenire genitori. Pertanto, le censure del giudice rimettente devono intendersi riferite al solo art. 8 della legge n. 40 del 2004. 4.– Sono fondate, nei termini che seguono, le dedotte questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 Cost., con assorbimento degli ulteriori profili. 5.– La disamina delle suddette questioni involge la relazione tra genitore e minore che, con l’affermarsi delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ha visto emergere una responsabilità scaturente dalla «volontà [che] porta alla nascita una persona che altrimenti non sarebbe nata» (sentenza n. 127 del 2020) e che implica il diritto del nato a vedersi riconosciuto come figlio di chi quella nascita ha voluto. 6.– La possibilità che il vincolo genitoriale scaturisca da un atto di assunzione di responsabilità è, del resto, coerente con l’essenza stessa del rapporto genitori-figli che, anche quando sorga dal fatto naturale della procreazione, comporta una assunzione di responsabilità, come testimonia emblematicamente il passaggio dalla potestà alla responsabilità genitoriale (art. 316 cod. civ.). Questa costituisce piena e appropriata attuazione del principio sotteso all’art. 30 Cost., nella cui formula questa Corte già individuava «gli obblighi di mantenimento ed educazione della prole, derivanti dalla qualità di genitore» (sentenza n. 308 del 2008; nello stesso senso, sentenza n. 394 del 2005, richiamata dalla sentenza 32 del 2021). Tale responsabilità e gli obblighi a essa correlati si giustificano proprio alla luce della riconducibilità della nuova vita alla volontà di coloro che intraprendono il percorso genitoriale; volontà che, nel caso della procreazione diversa da quella naturale, si svela e si esprime attraverso il “consenso” prestato al ricorso alle tecniche di PMA (sentenza n. 161 del 2023), al quale va per l’appunto ricondotta la «“responsabilità” conseguentemente assunta, da entrambi i soggetti che hanno deciso di accedere ad una tale tecnica procreativa» (sentenze n. 230 del 2020 e n. 237 del 2019). Tanto si desume sia dall’art. 8 della legge n. 40 del 2004 – ai sensi del quale i nati a seguito di un percorso di fecondazione medicalmente assistita hanno lo stato di «figli nati nel matrimonio» o di «figli riconosciuti» della coppia che questo percorso ha avviato – sia dal successivo art. 9 della stessa legge che, con riguardo alla fecondazione di tipo eterologo – vietata nell’originario impianto della legge n. 40 del 2004, ma oggi consentita nei casi indicati da questa Corte con le sentenze n. 96 del 2015 e n. 162 del 2014 –, coerentemente stabilisce che il «coniuge o il convivente» (della madre naturale), pur in assenza di un suo apporto biologico, non possa, comunque, poi esercitare l’azione di disconoscimento della paternità né l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (sentenza n. 237 del 2019); in tal modo sancendo l’impossibilità di sottrarsi alle conseguenze derivanti dalla decisione di intraprendere un percorso genitoriale con il ricorso alla PMA. Come rilevato dalla sentenza n. 127 del 2020, infatti, il divieto d’impugnare il riconoscimento è per l’appunto «volto a sottrarre il destino giuridico del figlio ai mutamenti di una volontà che, in alcuni casi particolari e a certe condizioni, tassativamente previste, rileva ai fini del suo concepimento». Il sistema che si è venuto delineando nel tempo, dunque, avuto riguardo tanto all’impianto originario della legge n. 40 del 2004 (art. 9), quanto ai successivi interventi di questa Corte, prevede che il riconoscimento dello stato di figlio nato all’esito del ricorso alle tecniche di PMA possa, a certe condizioni, prescindere dal rispetto delle condizioni di accesso contemplate dall’ordinamento. Il consenso ha un valore tale da rappresentare un adeguato fondamento per il sorgere della responsabilità genitoriale anche in ipotesi di scissione tra identità biologica e identità giuridica, fondata, in base all’art. 6 della legge n. 40 del 2004, sul consenso comune al progetto di genitorialità, ritenuto titolo idoneo a fondare lo status filiationis (sentenza n. 162 del 2014). 7.– Dal comune impegno volontariamente assunto discendono i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale. Come già rimarcato da questa Corte, la legge non dà una definizione della responsabilità genitoriale, ma nell’art. 147 cod. civ. prevede i doveri dei coniugi verso i figli, individuandoli negli obblighi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. La norma ripete la formula dell’art. 30, primo comma, Cost. e «dal combinato disposto delle due disposizioni si evince il nucleo di detta responsabilità, che si collega all’obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socioeconomiche dei genitori stessi» (sentenza n. 31 del 2012). A tali doveri corrisponde un insieme di diritti in capo al figlio, articolati dal legislatore, per l’appunto, nel «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni»; nel «diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315-bis cod. civ.) e nel «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 337-ter cod. civ.). 8.− Emerge, in tale contesto, il secondo concetto guida rilevante, costituito dall’interesse del minore o, per come si esprimono le fonti internazionali, dal “miglior interesse del minore”. 8.1.− Il primario interesse del minore, titolare dei diritti corrispondenti al fascio di doveri sopra ricordati, è stato costantemente affermato da questa Corte, quale «principio che è riconducibile agli artt. 2, 30 (sentenze n. 102 del 2020 e n. 11 del 1981) e 31 Cost. (sentenze n. 102 del 2020, n. 272, n. 76 e n. 17 del 2017, n. 205 del 2015, n. 239 del 2014) e che viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento» (sentenza n. 79 del 2022). Qualora vi sia una coppia di persone che ha intrapreso il percorso genitoriale, non è sufficiente il solo riconoscimento del rapporto con la madre biologica, sussistendo il «diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori» (sentenza n. 102 del 2020), diritto riconosciuto a livello di legislazione ordinaria (art. 315-bis, primo e secondo comma, e 337-ter, primo comma, cod. civ.) e affermato altresì da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea (art. 8, comma 1, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo nonché art. 24, paragrafo 3, CDFUE). In altri termini – come osservato nella sentenza n. 33 del 2021 – ciò che è qui in discussione è unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali ai suoi interessi che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali. Doveri ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi. 8.2.− Questa Corte ha, dunque, più volte ribadito la progressiva emersione della centralità dell’interesse del minore nel sistema normativo, alla luce dei princìpi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria (da ultimo, sentenza n. 55 del 2025, nella materia penale). Nel nostro ordinamento – si è detto – «l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità», specialmente dopo le riforme del diritto di famiglia cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore (sentenza n. 31 del 2012). Con la sentenza n. 272 del 2017 si è sottolineato che «[p]roprio al fine di garantire tutela al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, sin da epoca antecedente alla legge n. 40 del 2004, questa Corte – senza mettere in discussione la legittimità di tale pratica, “né […] il principio di indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle tecniche applicate alla procreazione” – si è preoccupata “invece di tutelare anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in proposito sono le garanzie per il nuovo nato […], non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare” (sentenza n. 347 del 1998)». In altri termini, questa Corte, sin dal 1998, ha rilevato la centralità dell’interesse del minore pur quando la fecondazione eterologa, e la stessa PMA, non erano ancora consentite; e ciò in relazione, non solo ai diritti garantiti dagli artt. 30 e 31 Cost., ma anche ai diritti del minore nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità. Il tutto proprio alla luce della duplice considerazione di «una logica fondata sulle responsabilità che discendono dalla filiazione e sull’esigenza di perseguire il miglior interesse del minore» (così sentenza n. 79 del 2022). 8.3.– In parallelo alla considerazione della centralità dell’interesse del minore, si è venuta delineando, strettamente correlata allo stesso, l’affermazione dell’unicità dello stato di figlio, quale principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013, compendiato dal nuovo art. 315 cod. civ. per cui «[t]utti i figli hanno lo stesso stato giuridico». In forza di tale principio tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento (all’interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme) godono della medesima considerazione, con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio (art. 315-bis cod. civ.), sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 74 cod. civ.). E all’unicità dello stato di figlio si ricollega anche la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma che vietava il riconoscimento dei figli nati da incesto (sentenza n. 494 del 2002), in quanto tale disposizione precludeva «loro l’acquisizione di un pieno status filiationis in ragione soltanto della condotta penalmente illecita dei loro genitori» (sentenza n. 33 del 2021); preclusione al riconoscimento ritenuta giustificata solo se e nella misura in cui il riconoscimento medesimo fosse contrario all’interesse in concreto del minore. La preclusione non poteva legittimamente fondarsi, per converso, sulla mera illiceità penale della condotta dei genitori, la quale, peraltro, finirebbe col coinvolgere ingiustificatamente soggetti totalmente privi di responsabilità, come sono i figli di genitori incestuosi, meri portatori delle conseguenze del comportamento dei loro genitori e designati dalla sorte a essere involontariamente, con la loro stessa esistenza, segni di contraddizione dell’ordine familiare (così, sentenza n. 494 del 2002). 8.4.– Nel quadro di princìpi testé delineato, il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato. L’orientamento sessuale, infatti, «non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali» (sentenza n. 32 del 2021), né «incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale» (sentenza n. 33 del 2021). Un’inidoneità genitoriale, in sé, della coppia omossessuale è stata costantemente esclusa da questa Corte che, in linea anche con la giurisprudenza di legittimità in materia di accesso alla PMA (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962), ha già avuto occasione di affermare che «non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore» (sentenze n. 32 del 2021 e n. 221 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022 e n. 230 del 2020). Va da sé che anche con riferimento alla omogenitorialità – come per qualsivoglia figura genitoriale – è possibile ricorrere agli strumenti predisposti dall’ordinamento nell’interesse in concreto del minore in caso di incapacità dei genitori ad assolvere i loro compiti, così come agli strumenti previsti per le ipotesi di difetto di veridicità delle dichiarazioni rese innanzi all’ufficiale di stato civile e di contestazione dei presupposti di riconoscimento dello status. 9.– La centralità dell’interesse del minore, raccordata con la responsabilità dei genitori che hanno legittimamente avviato di comune accordo il percorso di PMA, richiede di individuare in concreto quale sia il livello di protezione di tale interesse e quali siano le condizioni perché al nato possa essere riconosciuto lo stato di figlio anche della madre intenzionale. 9.1.− L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita. Il riconoscimento, per sua natura, opera da subito e indipendentemente dalle vicende della coppia e da eventuali mutamenti, al momento della nascita, della stessa volontà delle due donne che hanno fatto ricorso alla PMA e in particolare della madre intenzionale. A tale riguardo assume rilievo quanto chiarito da questa Corte nella più volte citata sentenza n. 32 del 2021 – concernente un caso simile a quello in esame – in cui è stata individuata, nella vigente legislazione, la sussistenza di un vulnus, alle garanzie del nato da PMA praticata da una coppia di donne, nella disciplina che consente l’attribuzione dello stato di figlio della sola madre biologica, sottolineando «una preoccupante lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi [intesi] come necessaria permanenza dei legami affettivi e familiari, anche se non biologici, e riconoscimento giuridico degli stessi, al fine di conferire certezza alla costruzione dell’identità personale». E, del resto, questa Corte già aveva posto in luce come il riconoscimento formale dello status filiationis costituisse un diritto che è «elemento costitutivo dell’identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della citata Convenzione sui diritti del fanciullo, dall’art. 2 della Costituzione» (sentenza n. 32 del 2021). La necessità di una «diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la “madre intenzionale”, che ne attenui il divario tra realtà fattuale e realtà legale», era stata poi evidenziata con la sentenza n. 230 del 2020 e di recente – come si è detto – ribadita dalla sentenza n. 32 del 2021, che, nel segnalare la ricordata «preoccupante lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi», lamenta che questi, «destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi». 9.2.− A tal fine è stato anche posto in rilievo come l’attuale disciplina dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico, appaia insufficiente per sanare il vulnus all’identità personale e all’interesse del minore a vedersi riconosciuto lo stato di figlio ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004 (sentenza n. 32 del 2021). È bensì vero che – come segnalato dall’Avvocatura generale dello Stato – rispetto alla disciplina sussistente al momento del riscontrato vuoto di tutela dell’interesse del minore stigmatizzato dalla citata sentenza n. 32 del 2021, è intervenuta una significativa attenuazione di due dei profili di criticità dell’adozione non legittimante, ad opera della giurisprudenza di questa Corte e di quella di legittimità: la mancata previsione di alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti dell’adottante (sentenza n. 79 del 2022); la precisazione che il rifiuto dell’assenso all’adozione, da parte del genitore biologico, è ragionevole e può sortire effetti preclusivi soltanto se espresso nell’interesse del minore, ossia quando non si sia realizzato tra quest’ultimo ed il genitore d’intenzione quel legame esistenziale la cui tutela costituisce il presupposto dell’adozione (tra le ultime, Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 29 agosto 2023, n. 25436). 9.3.– E, però, il pur importante mutamento subito dalla disciplina dell’adozione cosiddetta non legittimante negli ultimi anni non comporta, nella diversa prospettiva posta dalle odierne questioni, un decisivo ridimensionamento del deficit di tutela già ravvisato da questa Corte (sentenza n. 32 del 2021 e, ancor prima, sentenza n. 230 del 2020), dovendosi ritenere piuttosto che sussista una vera e propria inidoneità di tipo strutturale. E ciò per la determinante e assorbente considerazione che, mediante il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari, l’acquisizione dello status di figlio è fisiologicamente subordinata all’iniziativa dell’aspirante adottante e allo svolgimento di un procedimento, caratterizzato da costi, tempi e alea propri di tutti i procedimenti. Inoltre, e soprattutto, l’eventuale esito positivo del procedimento non può che spiegare effetto dal suo perfezionamento. Quanto all’iter procedimentale, va considerato che vi sono costi legati alla necessaria difesa tecnica e tempi, di certo non brevi, posti dalla natura stessa dell’istruttoria richiesta per tale procedimento, che, ai sensi dell’art. 57 della legge n. 184 del 1983, prevede il coinvolgimento dei servizi locali e degli organi di pubblica sicurezza. Il che, se è coerente con la logica dell’istituto dell’adozione, non risponde alle esigenze del riconoscimento dello stato di figlio sin dal momento della nascita quale conseguenza che discende, come nella generalità dei casi, dal comune impegno genitoriale assunto all’inizio del relativo percorso attraverso la PMA. Ma, ciò che più rileva sul piano delle tutele, il lasso di tempo intercorrente tra la nascita e il perfezionamento dell’(eventuale) adozione lascia il minore in uno stato di incertezza e imprevedibilità in ordine al suo stato, e, quindi, alla sua identità personale, esponendolo alle vicende della coppia e comunque alla mera volontà di uno dei due soggetti, e in particolare della madre intenzionale. Infatti, l’avvio del procedimento è rimesso all’esclusiva iniziativa dell’adottante e la volontà di adottare deve permanere fino alla sua conclusione, con la conseguenza che si lascia completamente alla volontà proprio di chi ha condiviso il ricorso alla PMA di decidere se assumersi o meno gli obblighi genitoriali conseguenti alla sua scelta. Di contro, non è prevista alcuna legittimazione in capo al minore (o a chi ne ha la rappresentanza legale) né, tantomeno, in capo alla madre biologica e, più in generale, nessuno strumento di tutela è accordato agli stessi per l’eventualità in cui la madre intenzionale decida di non procedere all’adozione, sicché proprio a lei viene a essere consentito di sottrarsi ai doveri assunti al momento della decisione di intraprendere con la partner il percorso genitoriale. Ancora, in caso di morte della madre intenzionale o di intervenuta crisi della coppia nessun diritto potrà configurarsi in capo al minore nei confronti della madre intenzionale. 10.– Non possono poi essere sottaciute le ulteriori ragioni per cui l’acquisizione dello stato giuridico del nato è attualmente caratterizzato da assoluta incertezza e imprevedibilità. Sul territorio nazionale, ad oggi, si assiste a una significativa eterogeneità di comportamenti tenuti dagli ufficiali di stato civile in ordine alla decisione di iscrivere o meno il nome della madre intenzionale del nato da PMA, oltre che dai pubblici ministeri in ordine alla decisione, in caso di iscrizione, di chiedere la rettificazione dell’atto. Tale condizione di incertezza e imprevedibilità non è neanche destinata ad avere un termine. Infatti, qualora l’ufficiale di stato civile iscriva l’atto di nascita con l’indicazione anche della madre intenzionale (e il pubblico ministero non proceda immediatamente per la rettificazione), la situazione resta soggetta a una perpetua precarietà, in quanto l’istanza di rettificazione da parte del pubblico ministero non è soggetta a limiti temporali (ex art. 95, comma 2, del d.P.R. n. 396 del 2000). Il potenziale cortocircuito del sistema emerge in modo evidente proprio nella fattispecie oggetto del giudizio a quo. La coppia, facendo ricorso alla PMA all’estero, nel rispetto della lex loci, ha avuto una prima figlia, il cui atto di nascita riporta anche la madre intenzionale e non è stato (sino ad ora) oggetto di istanza di rettificazione. A distanza di un anno e mezzo, sempre facendo ricorso alla PMA all’estero, ha avuto un secondo figlio, il cui atto di nascita, ugualmente riportante anche l’indicazione della madre intenzionale, è stato, invece, oggetto di istanza di rettificazione dal pubblico ministero, che, in caso di accoglimento, porterà alla cancellazione dell’indicazione della madre intenzionale. Peraltro, nel giudizio di fronte al Tribunale di Lucca, la richiesta al pubblico ministero di estendere l’istanza di rettificazione anche all’atto di nascita della prima figlia è stata negata, con la conseguenza quindi che, in caso di accoglimento dell’istanza di rettificazione avanzata dal pubblico ministero nel giudizio a quo, si avrebbero due figli, frutto del condiviso percorso genitoriale di coppia, privi di legame tra loro e con un diverso status: la primogenita risulterebbe figlia di entrambe le madri, mentre il secondogenito solo della madre biologica. Con l’ulteriore possibile sviluppo che, in ipotesi di una futura determinazione del pubblico ministero di proporre istanza di rettificazione con riferimento alla prima figlia e di un suo accoglimento, la conseguente perdita dello status di figlia della madre intenzionale comporterebbe che i due fratelli non vanterebbero più alcun tipo di legame tra loro, attesa la diversità delle madri biologiche. 11.– L’impedimento posto dall’art. 8 della legge n. 40 del 2004 a essere sin dalla nascita riconosciuto come figlio di entrambe le donne che hanno deciso di fare ricorso a tecniche di PMA – che, nel rispetto della lex loci, darebbero luogo a un rapporto di filiazione con il nato all’estero, suscettibile nell’ordinamento interno di riconoscimento e trascrizione – determina, dunque, un vulnus all’interesse del minore, d’altra parte già ravvisato da questa Corte con la più volte citata sentenza n. 32 del 2021. 12.− Vero è che l’interesse del minore, per quanto centrale, non è un interesse “tiranno”, che debba sempre e comunque prevalere. Al pari di ogni interesse costituzionalmente rilevante, esso può essere oggetto di un bilanciamento in presenza di un interesse di pari rango. Ma, con riguardo all’odierna questione, non si pone un problema di bilanciamento, in quanto non è ravvisabile alcun controinteresse di peso tale da richiedere e giustificare una compressione del diritto del minore a vedersi riconosciuto il proprio stato di figlio (della madre intenzionale) automaticamente sin dal momento della nascita. 12.1.− Sotto tale profilo, la situazione in esame si distingue radicalmente dall’ipotesi di ricorso alla cosiddetta maternità surrogata, in cui viene in considerazione la finalità di disincentivare il ricorso a una pratica che l’ordinamento italiano considera meritevole di sanzione penale e violativa di un principio di ordine pubblico, in quanto offende la dignità della donna (Cass., n. 38162 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022; n. 33 del 2021 e n. 272 del 2017). 13.– In conclusione, questa Corte ritiene che il mancato riconoscimento – riconoscimento effettuato secondo le modalità previste dall’ordinamento (artt. 250 e 254 cod. civ. e d.P.R. n. 396 del 2000) − al nato in Italia dello stato di figlio di entrambe le donne che, sulla base di un comune impegno genitoriale, abbiano fatto ricorso a tecniche di PMA praticate legittimamente all’estero costituisca violazione: dell’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse; dell’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli. La lesione ricondotta dal rimettente al «complesso delle disposizioni censurate» va ascritta in particolare all’art. 8 della legge n. 40 del 2004. 14.– Accertata la persistenza di un vulnus anche rispetto al quadro normativo esaminato dalla sentenza n. 32 del 2021 e l’insussistenza di un controinteresse tale da giustificare un bilanciamento rispetto all’interesse del minore a vedersi riconosciuto automaticamente e sin dalla nascita lo status di figlio anche della madre intenzionale, questa Corte – venendo in rilievo l’esigenza di assicurare la tutela effettiva di diritti fondamentali, incisi dalle scelte, anche omissive, del legislatore – non può giustificare l’inerzia protrattasi per anni ed esimersi dal porre rimedio nell’immediato al vulnus, riscontrato garantendo il livello di protezione che la Costituzione esige che sia assicurato. 15.– Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, per violazione degli artt. 2, 3 e 30 Cost., nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti (nei termini sopra richiamati: punto 12), a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale. …omissis…